Intervista di "Letteral-mente" all'Autore di Farfalle di Zara
Letteral-Mente ha
deciso di dare spazio alle nuove voci del panorama letterario italiano. Lo
scrittore Domenico Del Monaco risponde alle nostre domande a proposito della
sua ultima fatica: Farfalle di Zara, edito da Ibiskos Editrice Risolo.
Domenico, benvenuto. Scrittori si nasce o si
diventa?
Domanda
difficile per rispondere in poche parole. Ho trascorso oltre sessant’anni senza
mai scrivere alcunché di letterario, però avvertivo soddisfazione quando potevo
scrivere una relazione scientifica in un italiano non solo corretto ma chiaro e
curato. Tuttavia questo non basta per sentirsi scrittori.
Medico e scrittore: due professioni molto diverse
ma che sempre arricchiscono di grandi emozioni. Quanto il lavoro ha influenzato
il prodotto della tua penna?
Molto, ma
solo per dire che fino a quando sono stato occupato con il lavoro non ho avuto
il tempo per dedicarmi allo scrivere. Al di là della battuta solo circostanze di
lavoro occasionali hanno influito indirettamente su quanto avrei scritto, come
è avvenuto, per esempio, con il mio primo romanzo.
A chi consiglieresti "Farfalle di Zara"?
Soprattutto
ai giovani che poco conoscono di quanto è accaduto sul confine orientale del
nostro Paese durante la 2° guerra mondiale. Ma poi a tutti coloro che
desiderano capire perché nei libri la storia narrata è sempre quella dei
vincitori e i vinti, invece, sono messi da parte e dimenticati anche quando
subiscono le conseguenze degli errori altrui. Non si tratta comunque di una
sorpresa se pensiamo che Oscar Wilde più di un secolo fa scrisse che «“Il nostro unico dovere
nei confronti della storia è di riscriverla».
Il tuo è un romanzo ampio e ricco di eventi, dal
momento che segue le vicende di una famiglia di profughi italiani per almeno
tre generazioni. Hai riscontrato difficoltà nel gestire una così complessa
struttura narrativa?
Come spiego
nella Nota introduttiva al lettore, mi occupo di questo tema storico da almeno
venti anni e solo dopo averne avuto testimonianza da parte di un caro amico,
esule fiumano, che venti anni fa appunto mi raccontò il dramma e i dolori della
sua famiglia. Prima di allora anch’io, come tutti in Italia, non sapevo niente delle
foibe e dell’esodo perché i libri non parlavano di questa pagina di storia
italiana che per cinquanta anni è stata colpevolmente rimossa. Quindi
difficoltà nel gestire questa narrazione no, ma certo si è trattato di un
grande impegno, prima di tutto di studio e approfondimento che poi è sfociato
per caso in un romanzo.
Qual è stato l’input che ti ha spinto a scrivere
questo romanzo?
Beh, i
moventi sono stati essenzialmente due. Il primo, come ho detto, il desiderio di
rievocare questa pagina drammatica e dolorosa della storia italiana, ancora
oggi poco conosciuta e imprecisa, carica di sofferenze umiliazioni e violenze
verso dei cittadini italiani che senza troppi complimenti e nessuna tutela furono
ceduti ad uno stato straniero, per di più appartenente al blocco opposto a
quello dal quale provenivano. Il secondo è stata la volontà di celebrare il
valore e il ruolo della famiglia, oggi molto vituperata. La famiglia è una forza
civile prima che morale e religiosa e il dramma dei profughi giuliano istriano
dalmati ne è un esempio significativo. Grazie a quei valori che i vecchi
genitori avevano seminato nei cuori dei loro figli, questi ultimi poterono
affrontare le grandi avversità e le ingiustizie che dovettero subire dopo la
guerra prima di riuscire a ricostruire un avvenire per sé e le loro famiglie
con grande dignità e compostezza.
Il tuo romanzo è un vero e proprio mosaico di
ricordi. Attraverso le ricostruzioni di Lucia, che riprende in mano il diario
di quando era bambina, il lettore è trasportato in un mondo fatto di avventure,
sacrifici e sofferenza. Non è mai facile scrivere di avvenimenti reali. Come ti
sei mosso nel difficile lavoro di documentazione?
Ho studiato molto la storia di quegli anni e di
quelle regioni …e a me la storia è sempre piaciuta (dovrebbe essere «maestra di vita», come ci ha insegnato Cicerone, ma raramente è
così). Poi ho raccolto moltissime testimonianze sul web, adesso ce ne sono
davvero tante, e ho selezionato quelle più significative. Ti confesso che ho
lasciato da parte quelle più violente e brutali, non perché non le ritenessi
attendibili, ma perché non volevo abbruttire e incattivire il mio racconto oltre
misura e credo di essere riuscito ugualmente a dare il senso della drammaticità
e della violenza smisurata che ha permeato questa guerra sul confine orientale
dell’Italia, fino a diventare qualitativamente diversa. Uno degli esempi
significativi di questa differenza sta nel fatto che mentre in Italia la guerra
si è conclusa il 25 aprile 1945 con la liberazione del nostro Paese
dall’occupazione nazi-fascista e in Europa si celebrava la vittoria degli
alleati con spensieratezza e felicità, nei territori ormai ex-italiani del
confine orientale, invece, a Trieste, in Venezia Giulia e in Istria la guerra continuava
e sarebbe continuata per oltre 10 anni da parte del nuovo stato jugoslavo contro
gli italiani che non avevano pertanto niente di cui gioire. Per loro la pace
arrivò molto più tardi…
Il titolo del romanzo, poetico di forte impatto,
attira subito l'attenzione dei lettori. Come si sa, trovare il titolo giusto
può essere un'impresa molto difficile. Anche per te è stato così? C'è stato
qualcosa (o qualcuno) che te lo ha suggerito/ispirato?
Sì, sono
arrivato a questo titolo solo dopo aver scritto completamente tutto il romanzo.
All’inizio avevo pensato a “Sul mare di Zara”, ma non mi soddisfaceva perché
abbastanza scontato. In tutte le testimonianze che avevo letto c’era sempre una
grande nostalgia per il mare e il desiderio forte di poter ritrovare quelle
terre che gli esuli avevano dovuto abbandonare. Ecco questo desiderio era per
loro un sogno che non avrebbero però potuto mai realizzare in vita perché i
loro paesi erano drasticamente cambiati: politicamente, socialmente e
antropologicamente e per rivivere gli anni della loro gioventù non restava loro
che il ricordo. Il loro sogno insomma si sarebbe potuto realizzare solo dopo la
morte, diventando farfalle che sarebbero potute ritornare là da dove molti anni
prima erano stati costretti a partire.
"Farfalle di Zara" non è la tua prima pubblicazione. Puoi parlarci
della tua precedente attività letteraria?
Il mio
primo romanzo è stato “Sotto il sole di gennaio” dove, attraverso un’insolita
storia d’amore tra un uomo ormai alle soglie della terza età e una donna molto
più giovane di lui, racconto della crisi della famiglia, delle incomprensioni
tra genitori e figli, della vacuità dei rapporti tra giovani nell’epoca della
globalizzazione, ma anche della possibilità sempre presente di cambiare purché
si abbia la volontà e la forza di guardarsi dentro. E’ stato pubblicato nel
2015 e a novembre dello stesso anno ha vinto il premio come migliore opera
prima in un concorso letterario a Rovigo.
Si dice che in ogni personaggio letterario c'è
sempre un pezzetto del suo autore. Vale lo stesso per te?
Per
questo ultimo libro, “Farfalle di Zara”, direi proprio di no: non provengo da
una famiglia di esuli e non ho avuto rapporti diretti con quella storia, a
parte la testimonianza di questo amico che me ne parlò venti anni fa. Sono un
osservatore esterno che ha studiato e analizzato questa pagina di storia e ha
ritenuto utile divulgarla e farla conoscere. Qualcosa di me, invece, può
esserci nel primo mio romanzo, “Sotto il sole di gennaio” dal momento che
essendo anch’io genitore, sono sensibile ai temi della coppia e delle frequenti
difficoltà tra genitori e figli.
Scrivere è sacrificio, impegno e costanza, ma il
duro lavoro porta sempre grandi soddisfazioni. Raccontaci qualcosa della tua
attività di scrittore e, magari, qualche bell'episodio che vuoi condividere con
noi.
Sono un
dilettante nel senso etimologico del termine. Scrivere mi piace e mi dà
soddisfazione. Forse perché sono abituato a lavorare su un campo molto
ristretto e limitato, ma scrivere mi fa sentire libero di aprire e scoprire
grandi spazi.
C'è chi scrive di giorno, chi di notte. Chi salta
i pasti perché troppo preso dalla storia che sta raccontando. Quali sono le tue
abitudini di scrittura?
Scrivo di
giorno, in tarda serata ma soprattutto al mattino presto perché ho bisogno del
silenzio e della concentrazione.
Adesso che la tua ultima fatica letteraria è in
libreria, sei pienamente soddisfatto del lavoro svolto o c'è qualcosa che avresti
voluto cambiare all'ultimo secondo?
Il libro
è frutto di un lungo lavoro preparatorio e se ti riferisci a qualche rimpianto o
a modifiche della trama o dell’intreccio la risposta è no. Se invece vuoi
sapere se cambierei qualche parola o qualche frase, c’è sempre il modo di
essere più stringenti ed espressivi.
Quali consigli ti sentiresti di rivolgere a chi
ha intenzione di muovere i primi passi nel mondo della scrittura?
Anche se
porto molti anni sulle spalle sono un esordiente e non mi sento di dare
consigli, anzi vorrei trovare qualcuno esperto disposto a darli a me.
Grazie per essere stato con noi.
Ti facciamo i nostri migliori auguri per la tua
carriera!
***
Intervista di "Recensionelibro" all'Autore di Sotto il sole di gennaio
- Per iniziare… raccontaci qualcosa di te, qualcosa che vorresti che i nostri lettori sapessero prima di entrare in contatto con il libro che hai scritto.
Sono nonno di una bellissima
nipotina di cinque anni e quando ho scritto questo libro avevo sessantacinque
anni. Un esordiente di sessantacinque anni credo sia una cosa insolita. Eppure
é stata un’esperienza appassionante che mi ha coinvolto moltissimo.
- Dovendo riassumere in poche righe il senso del libro “Sotto il sole di gennaio” cosa diresti?
Ci sono diverse chiavi di lettura. Una è certamente
il conflitto tra ragione e sentimento che è comune a molti e serve a ricordare
che anche nelle persone più fredde e in apparenza sicure non esistono certezze
perché il cuore percepisce cose che la ragione non vede. La scoperta dei
sentimenti, infatti, ci fa vedere diversa la realtà che ci circonda. Un’altra chiave
di lettura riguarda temi importanti come la crisi della famiglia, il
confronto-scontro tra generazioni, il rapporto padre-figlia, la difficoltà di
comunicare, fino ad una riflessione sulla malattia e l’eutanasia.
- In questo romanzo ci parli di un amore non più atteso, che appaga i sensi nonostante sopraggiunga in un’età in cui tutto sembra essere già stato scritto. Da dove nasce l’esigenza di raccontare questa storia?
Dal piacere di raccontare una storia controcorrente:
quando tutto sembra già scritto, tutto può cambiare. E’ un messaggio positivo e
di fiducia nel futuro perché rinnovando il rapporto verso gli altri e verso noi
stessi è sempre possibile trovare nuove sintesi. E infatti nel romanzo tutti i
personaggi interagendo tra loro alla fine cambiano e si ravvedono più o meno
dei loro errori.
- Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il libro?
Di fronte ai fallimenti e agli affanni della vita di
oggi, giovani e meno giovani devono avere sempre una speranza: possibile,
concreta, purché vogliano mettersi in discussione. Anche in età matura può succedere d’incontrare qualcuno
che ti prenda per mano e voglia camminare con te fino a quando c'è vita.
- La storia d’amore di cui parli è tra un uomo non più giovane e una donna che ha vent’anni in meno. L’età non conta quando ci sono di mezzo sentimenti puri e sinceri?
Sì, è vero. L’età non conta, contano le cose che si
condividono, quindi il background culturale in senso lato, gli interessi, la
sensibilità verso persone e cose, la disponibilità a rinunciare all’
individualismo, un progetto comune per
il futuro.
- So che “Sotto il sole di gennaio” ha ricevuto anche qualche riconoscimento. Quali?
Beh, sì. Un premio fa sempre piacere e questo libro
ha ricevuto il premio come migliore opera prima nel concorso letterario nazionale
Unicorno di Rovigo 2015 ed è stato premiato tra i finalisti del concorso
internazionale Michelangelo di Seravezza (Lucca) sempre nel novembre 2015..
- Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire il tuo libro, quali utilizzeresti?
- Emozionante, perché gli avvenimenti coinvolgono il
lettore fino alla fine
- Delicato, perché tale é il linguaggio e lo stile
del racconto
- Sincero, perché é scritto con il cuore.
- Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Domanda difficile perché negli anni passati mi sono
sentito più coinvolto dalla saggistica. In tempi recenti potrei dire due
romanzi in apparenza lontani fra loro: Il gabbiano Jonathan Livingston di Bach
e Bora di Anna Maria Mori e Nelida Milani
- Quale libro non consiglieresti mai a nessuno?
Ogni libro è una scoperta che si può gradire più o
meno ma non penso sconsigliare. Da un
libro s’impara sempre qualcosa.
- Adesso è arrivato il momento per porti da solo una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Dopo la pubblicazione di questo libro in tanti mi
hanno detto che avrei dovuto continuare a scrivere e poiché l’esperienza è
stata oltremodo piacevole ho già terminato un altro romanzo a sfondo storico ma
ricco di sentimenti. Di questo però ne parleremo un’altra volta.
da www.recensionelibro.it
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